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Rivoluzione Fascista, mostra del decennale

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Acquisto materiale sulla Rivoluzione Fascista, militaria, medaglie, manifesti, cimeli vari

Rivoluzione Fascista

La locuzione rivoluzione fascista è stata utilizzata da intellettuali ed esponenti politici del fascismo per definire gli anni della nascita e della presa del potere da parte del fascismo in Italia e i progressivi mutamenti istituzionali che portarono da un regime liberale a quello totalitario. È stata ripresa dalla storiografia a partire dagli anni settanta del XX secolo non più a scopo celebrativo, ma come definizione dei caratteri di rottura che il fascismo ebbe sulla società italiana.

Il sansepolcrismo e la marcia su Roma

Già nel dicembre 1914 con la fondazione a Milano del movimento Fascio d’azione rivoluzionaria patrocinato da Benito Mussolini (il mese precedente già fondatore de Il Popolo d’Italia) e Alceste De Ambris, legato al mondo degli interventisti, sindacalista rivoluzionario e autore poi della Carta del Carnaro (che ispirerà la fascista Carta del Lavoro) durante l’impresa di Fiume con Gabriele D’Annunzio (1919-1920), si posero le basi di un movimento rivoluzionario interventista, a cui aderirono personalità come Filippo Corridoni, sindacalista nazionale e rivoluzionario.

Al termine della prima guerra mondiale, il processo riprese attivamente e, nell’area interventista si coagulò attorno alla figura di Mussolini un nuovo movimento, fondato a Milano il 23 marzo 1919 durante l’adunata di piazza San Sepolcro dalla confluenza di sindacalisti nazionali, futuristi che si proclamavano rivoluzionari come Marinetti, arditi e altri ex combattenti: erano i Fasci italiani di combattimento.

Il “Manifesto dei Fasci italiani di combattimento“, fu ufficialmente pubblicato su Il Popolo d’Italia il 6 giugno 1919. Qui vengono avanzate numerose proposte, ma è già nell’incipit viene definito “rivoluzionario”: Ecco il programma nazionale di un movimento sanamente italiano. Rivoluzionario, perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole. Noi poniamo la valorizzazione della guerra rivoluzionaria al di sopra di tutto e di tutti. 

Il movimento fascista di Mussolini propugnava una “rivoluzione nazionale” che portasse al governo della nazione una nuova classe dirigente formata principalmente dai “combattenti” della Grande guerra delusi dalla “vittoria mutilata” presenti in maniera trasversale in tutti i partiti Destinatari del messaggio fascista furono in primo luogo ricercati nella sinistra massimalista, la quale lungi dal voler sovvertire lo Stato, portasse le proprie istanze e lo “socializzasse” dall’interno. I Fasci di combattimento sarebbero serviti a legare alcuni di questi mondi non omogenei come gli interventisti di sinistra, i futuristi, gli ex arditi, i repubblicani e i sindacalisti rivoluzionari. Le camicie nere sfilano il 31 ottobre 1922 davanti al Quirinale, all’epoca residenza reale.

Nell’estate 1921 e prospettive mussoliniane di una soluzione negoziale del problema rivoluzionario di stampo socialista delle origini, si scontravano con quelle radicali dello squadrismo più acceso, che chiedeva invece senza mezzi termini una rivoluzione attraverso un colpo di Stato. Così, nel novembre del 1921 i Fasci italiani di combattimento si trasformarono nel Partito Nazionale Fascista (PNF), combattendo al suo interno fra spinte volte a scelte rivoluzionarie ed istanze di crescita costituzionale. Gli squadristi che presero parte alla marcia su Roma furono denominati dalla pubblicistica del regime le “camicie nere della rivoluzione” e la marcia venne celebrata negli anni successivi come l’acme della cosiddetta “rivoluzione fascista”

Mussolini fa accenni rivoluzionari (ma anche reazionari) in numerosi suoi discorsi successivi al 1919: «Come rivoluzione fascista l’intero secolo sta innanzi a noi.» ; «Io sono reazionario e rivoluzionario, a seconda delle circostanze. Farei meglio a dire — se mi permettete questo termine chimico — che sono un reagente. Se il carro precipita, credo di far bene se cerco di fermarlo; se il popolo corre verso un abisso, non sono reazionario se lo fermo, anche con la violenza.» ; «Io non ho paura delle parole. Se domani fosse necessario, mi proclamerei il principe dei reazionari. Per me tutte queste terminologie di destra, di sinistra, di conservatori, di aristocrazia o democrazia, sono vacue terminologie scolastiche. Servono per distinguerci qualche volta o per confonderci, spesso.»

Il consolidamento del potere (1925-1928)

Le cosiddette “leggi fascistissime” del 1925 (seguite al delitto Matteotti del 1924 e al discorso di Mussolini del 3 gennaio) e quelle venute fino al 1928, sulle prerogative del Capo del Governo e l’istituzione ufficiale del Gran Consiglio del Fascismo (esistente di fatto dal 1923), definiscono esplicitamente lo Stato italiano, malgrado fosse formalmente sempre una monarchia costituzionale come uno Stato nuovo, un “regime sorto dalla rivoluzione dell’ottobre 1922”. Con l’avvento al potere assoluto le istanze rivoluzionarie del cosiddetto “fascismo movimento” si annacquarono, al di là delle enunciazioni e già dal 1923, con la fusione con l’Associazione Nazionalista Italiana filo-monarchica, e poi nel 1929, con il concordato fra Stato e Chiesa, prevalsero gli aspetti tipici di un regime autoritario

Curzio Malaparte in divisa da Alpino

Questo sebbene riviste come La conquista dello Stato, diretta da Curzio Malaparte, proclamarono spesso il concetto di rivoluzione fascista. I fascisti intransigenti fecero spesso riferimento alla “rivoluzione italiana dell’ottobre”, per contrapporla alla rivoluzione d’ottobre, bolscevica e comunista, avvenuta in Russia nel novembre 1917. Malaparte aveva scritto nel 1923:

«La Rivoluzione d’ottobre [ndr: rivoluzione fascista del 1922] non può e non deve ripetere gli errori del Risorgimento, finito in malo modo nel compromesso antirivoluzionario del Settanta, che preparò il ritorno al potere attraverso il liberalismo, la democrazia, il socialismo, di quegli elementi borbonici, granducali, austriacanti, papalini che avevano sempre combattuto e bestemmiato l’idea e gli eroi del Risorgimento. È necessario che il Fascismo prosegua senza esitazioni il suo fatale cammino rivoluzionario.»
(da L’Impero, 18 aprile 1923)

Per Malaparte il fascismo fu sia una “controriforma” che rivoluzione, e i fascisti “giacobini in camicia nera”, come lì definirà in Tecnica del colpo di Stato. Questo concetto di rivoluzione fascista come continuazione del processo risorgimentale era espresso nel Manifesto degli intellettuali fascisti, pubblicato il 21 aprile 1925 da Giovanni Gentile.

Il dibattito interno al fascismo

È importante sottolineare come il fascismo fu sempre considerato dai suoi aderenti, specie i più accaniti, come un movimento rivoluzionario, trasgressivo e ribelle (emblematico in tal senso il motto dannunziano «me ne frego» ripreso e usato dalla propaganda fascista) in radicale contrasto col liberalismo dell’Italia pre-fascista. Pur avendo all’inizio tutelato gli interessi della borghesia industriale, Mussolini respinse ogni ipotesi di collusione con essa. Da notare anche l’influenza non solo di Georges Sorel, ma anche di Max Stirner e Friedrich Nietzsche sul giovane Mussolini, rimaste in parte tali anche nel Mussolini moderato e rinconciliato ad esempio con la Chiesa. “Il superuomo, ecco la grande creazione nietzscheana”, scrisse Mussolini su Il Pensiero Romagnolo nel 1905. Nietzsche fu l’unico filosofo che Mussolini studiò veramente. Ne fu ammaliato in gioventù e dalla sua dottrina del superuomo trasse il senso da dare alla rivoluzione fascista, e questa ammirazione gli rimase anche in tarda età (ad esempio nel 1943 Hitler, altro ammiratore del pensatore, gli regalò un’edizione di lusso delle opere complete del filosofo di Röcken, conoscendo gli interessi filosofici di Mussolini).

Secondo il politologo Sergio Panunzio il fascismo si proponeva l’intento di modificare la società italiana creando uno “stato-società” fondato sulle corporazioni, in una sorta di correzione ideologica della rivoluzione francese e del suo “stato-popolo”, profondamente diverso anche dallo “stato-classe” attuato dalla rivoluzione russa.

Cambio della guardia di giovani camicie nere (MVSN) davanti al palazzo della Mostra della Rivoluzione fascista

Il ministro Giuseppe Bottai, nella rivista Critica fascista, già nel 1926 proclamava che il fascismo doveva restare “rivoluzione permanente” Bottai vuole edificare quella rivoluzione che la marcia su Roma, sebbene sia “il principio d’una nuova vita”, non ha prodotto.Giuseppe Bottai

Negli anni ’30 con i giovani intellettuali raccolti nella rivista Primato, teorizzò un fascismo che doveva ritrovare la carica rivoluzionaria delle origini. “…conquistato il potere, il problema delle origini si ripropone in tutta la sua interezza. Questo problema è di rivoluzione intellettuale. Così noi rispondiamo agli oppositori, che tentano di gettare nel nostro cammino l’equivoco d’una rivoluzione esaurita in uno sforzo puramente muscolare e ci negano il diritto di creare la politica nuova della nuova Italia, e rispondiamo, anche, mi sia permesso affermarlo senza ambagi, a quei fascisti i quali incedono nell’equivoco antifascista dell’opposizione, quando disgraziatamente tentano di elevare a teoria aspetti superati o transeunti della nostra azione politica

Bottai è uno dei più intransigenti rivoluzionari contro la corrente reazionaria (ma sarà anche a favore delle leggi razziali fasciste e dell’avvicinamento alla Germania nazista) e moderata — Giovanni Gentile per la seconda, Julius Evola, controrivoluzionario e tradizionalista, e i clericofascisti per la prima — anche se poi voterà assieme a Dino Grandi e Galeazzo Ciano contro Mussolini il 25 luglio 1943 all’ordine del giorno Grandi durante il Gran Consiglio, e sarà condannato a morte in contumacia dai fascisti nel 1944, cosa che eviterà fuggendo dall’Italia e arruolandosi nella legione straniera francese.

Egli, e altri, tentarono di equiparare storicamente i fascisti con giacobini della rivoluzione francese.

La volontà del fascismo di incidere nella storia come una rivoluzione pari a quella francese e russa si manifestò anche con l’istituzione della cosiddetta era fascista, ossia una particolare numerazione degli anni che faceva riferimento al giorno della marcia su Roma. Il primo anno dell’Era fascista (indicato accanto alla data tradizionale come I, E.F.) comincia quindi il 28 ottobre 1922 e termina il 27 ottobre 1923. Il riferimento diretto era al nuovo calendario istituito dalla rivoluzione francese nel 1793, che indicava retroattivamente l’anno I a partire dal 22 settembre 1792, giorno di soppressione dell’ultimo residuo della monarchia; secondo gli intellettuali “rivoluzionari” del regime il movimento fascista costituiva una moderna evoluzione della grande rivolta francese, riprendendo Mussolini stesso che aveva definito il fascismo come una sorta di populismo che avrebbe superato gli errori della democrazia liberale

«Il fascismo è un metodo, non un fine; se volete, è “una autocrazia sulla via della democrazia“.» (Benito Mussolini, dall’intervista concessa all’inviato speciale Shaw Desmond del Sunday Pictorial di Londra il 12 dicembre 1926 e riportata come Mussolini rivela il suo segreto in Il Popolo d’Italia, n. 297, 14 dicembre 1926, XIII)

Rivoluzione fascista nella Repubblica Sociale Italiana

Nel corso della seconda guerra mondiale, all’interno della Repubblica Sociale Italiana, il Partito Fascista Repubblicano, teorizzò attraverso una serie di provvedimenti radicali di attuare un fascismo rivoluzionario estrinsecato attraverso il cosiddetto Manifesto di Verona, pur non avendo i mezzi materiali, gli uomini e il controllo del territorio necessari per attuare questi stessi provvedimenti. Molti lo considerarono un ritorno al sansepolcrismo, altri non aderirono. Come detto, Mussolini si era già vantato di passare in un regime di democrazia illiberale plebiscitaria e autoritaria, che raggiunse tratti di totalitarismo, per giungere, tramite il consenso di massa, all’instaurazione di forme nuove di governo popolare. Lo stesso duce, poi, come riportato da Yvon De Begnac, giornalista e scrittore italiano, biografo ufficiale di Benito Mussolini tra il 1934 ed il 1943, ebbe a dichiarare, tentando di sganciarsi dai conservatori e dal populismo di destra, identificandosi invece con una forma di nazionalismo di sinistra:

«Mi rifiuto di qualificare di destra la cultura cui la mia rivoluzione ha dato origine.»
(Mussolini, citato da Yvon De Begnac, Taccuini Mussoliniani)

Nel 1944 al processo di Verona alcuni dei protagonisti della marcia, come De Vecchi e Grandi, sarebbero stati accusati di “aver tradito la rivoluzione fascista” tentando accordi con Facta e Salandra. Mussolini stesso, nei suoi ultimi mesi, ripropose in discorsi, intervisti e scritti i suoi cavalli di battaglia “rivoluzionari” di gioventù, ripresi dal sansepolcrismo, e nuovamente sanciti dalla Carta di Verona: il corporativismo e le, mai attuate, socializzazione dell’economia, cogestione e democrazia organica (presente nella bozza di Costituzione della Repubblica Sociale Italiana).

Il punto principale, la socializzazione delle imprese, vista con sospetto e boicottata dalla Germania nazionalsocialista, venne disposta inizialmente con il D.Lgs. 12 febbraio 1944, n. 375 alla firma di Mussolini unita a quelle di Giampietro Domenico Pellegrini e Piero Pisenti. Per diretta conseguenza il compito venne assegnato al ministro dell’Economia corporativa l’ingegner Angelo Tarchi, che si insediò nella sede del ministero a Bergamo. Il 20 giugno 1944, ossia appena quattro mesi dopo il decreto legislativo, il dirigente della federazione fascista degli impiegati del commercio Anselmo Vaccari in un rapporto diretto a Mussolini riportò quanto segue: «I lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per le allodole, e si tengono lontano da noi e dallo specchio. Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi».

L’attuazione integrale della socializzazione era prevista per il 25 aprile 1945. Difatti il 25 aprile tra i primi atti politico-amministrativi del Comitato di Liberazione Nazionale dopo la sconfitta del fascismo nel Nord Italia vi fu proprio l’abrogazione del D.Lgs sulla socializzazione, definita da esso un tentativo «di aggiogare le masse lavoratrici dell’Italia occupata al servizio ed alla collaborazione con l’invasore». Mussolini si dichiarò inoltre, per la prima volta dai tempi della sua rottura col PSI nel 1914, esplicitamente “socialista” nel suo testamento politico (finito di scrivere la notte prima della sua fucilazione il 28 aprile), lasciandosi andare a considerazioni utopiche su un mondo socializzato, punto d’arrivo dei vari socialismi nazionali rivoluzionari (tra cui Mussolini includeva anche il nazionalsocialismo tedesco) nella sua ultima intervista di alcuni giorni prima:

«Lasciate passare questi anni di bufera. Un giovane sorgerà. Un puro. Un capo che dovrà immancabilmente agitare le idee del Fascismo. (…) Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi affaristi e degli speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero state favorevoli all’Asse, io avrei proposto al Führer, a vittoria ottenuta, la socializzazione mondiale. La socializzazione mondiale, e cioè: frontiere esclusivamente a carattere storico; abolizione di ogni dogana; libero commercio fra paese e paese, regolato da una convenzione mondiale; moneta unica e, conseguentemente, l’oro di tutto il mondo di proprietà comune e così tutte le materie prime, suddivise secondo i bisogni dei diversi paesi; abolizione reale e radicale di ogni armamento.»
(Intervista del 20 aprile 1945 a Gian Gaetano Cabella)
«La gente del lavoro è infinitamente superiore a tutti i falsi profeti che pretendono di rappresentarla. I quali falsi profeti hanno buon gioco per l’insensibilità di chi avrebbe il sacrosanto dovere di provvedere. Per questo sono stato e sono socialista. L’accusa di incoerenza non ha fondamento. La mia condotta è sempre stata rettilinea nel senso di guardare alla sostanza delle cose e non alla forma. Mi sono adattato socialisticamente alla realtà. Man mano che l’evoluzione della società smentiva molte delle profezie di Marx, il vero socialismo ripiegava dal possibile al probabile. L’unico socialismo attuabile socialisticamente è il corporativismo, punto di confluenza, di equilibrio e di giustizia degli interessi rispetto all’interesse collettivo.»
(Testamento politico di Benito Mussolini, probabilmente redatto tra il 22 e il 27 aprile 1945)

Nel suo ultimo discorso pubblico, ripropose il repubblicanesimo del 1919 come una fondamentale conquista da ottenere per tutta l’Italia:

«Noi vogliamo difendere, con le unghie e coi denti, la valle del Po; noi vogliamo che la valle del Po resti repubblicana in attesa che tutta l’Italia sia repubblicana.»
(Cosiddetto discorso della riscossa, 16 dicembre 1944, Teatro Lirico di Milano)

Tutte queste posizioni, riprese in chiave anti-usura e anti-finanziaria, erano condivise anche dal poeta americano residente in Italia Ezra PoundNicola Bombacci fu poi un altro intellettuale che apportò un’importante contributo al concetto di rivoluzione fascista; egli era uno dei fondatori del Partito Comunista d’Italia nel 1921, dopo aver partecipato alla rivoluzione russa, poi avvicinatosi a Mussolini negli anni ’30, e aderì in forma attiva alla RSI finendo fucilato dai partigiani a Dongo come traditore (le sue ultime parole furono forse “viva il Socialismo“); il suo corpo fu appeso in piazzale Loreto a Milano accanto al duce, a Clara Petacci e ai gerarchi fucilati. Bombacci dichiarò il suo sentirsi un vero “rivoluzionario” anche nel suo ultimo mese di vita, utilizzando anche l’appellativo “compagni” anziché “camerati”:

«Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l’amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all’avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell’inganno.»
(Nicola Bombacci, il 15 marzo 1945 a Genova)
«Il socialismo non lo realizzerà Stalin, ma Mussolini che è socialista anche se per vent’anni è stato ostacolato dalla borghesia che poi lo ha tradito… ma ora Mussolini si è liberato di tutti i traditori e ha bisogno di voi lavoratori per creare il nuovo Stato proletario.»

Dibattito storico sulla rivoluzione fascista

Contestata dagli intellettuali antifascisti, che attribuivano al fascismo natura esclusivamente regressiva e reazionaria, la locuzione scomparve quasi completamente nei primi decenni del dopoguerra per poi riemergere in campo storiografico revisionista degli anni settanta del XX secolo, dove essa è stata poi ripresa dagli studiosi comunque non fascisti – a partire da George Mosse e Renzo De Felice – nel dibattito sull’interpretazione degli elementi di rottura istituzionale e di discontinuità sociali e culturali provocati dai “fascismi” e nel confronto fra fascismo e nazismo. Alcuni studiosi (George Mosse, Renzo De Felice, Zeev Sternhell ed Emilio Gentile) utilizzano la locuzione. In particolare De Felice sosteneva si trattasse di una “rivoluzione conservatrice”; Gentile, suo allievo, sostiene che il fascismo fosse una “rivoluzione antropologica” radicale, tesa a creare un nuovo tipo di umanità, l’uomo nuovo.

Mostra della Rivoluzione Fascista

Ideata nel 1928 da Dino Alfieri e allestita nel 1932 nel palazzo delle esposizioni in Roma, per la celebrazione del decennale della marcia su Roma, questa mostra intendeva ricostruire i momenti determinanti per l’affermazione del fascismo e offrire un quadro delle realizzazioni del regime. Gli episodi che si vollero illustrare erano: la lotta per l’interventismo, la guerra, la vittoria, la fondazione dei fasci di combattimento, Fiume, l’anno 1920, l’anno 1921, l’anno 1922, la marcia su Roma. A ciascun tema era dedicata una stanza del piano terreno, ove erano situati anche il salone d’onore, la galleria dei fasci, la sala documentaria del duce, il sacrario dei martiri. Le stanze del primo piano erano dedicate invece alle realizzazioni del regime, ai libri sul fascismo, agli autografi del duce, ai fasci all’estero. La intenzione di creare un’atmosfera eroica attraverso la decorazione degli ambienti rese necessaria la realizzazione di imponenti scenografie che impegnarono architetti, scultori, pittori tra cui Sironi, Funi, Prampolini. Ne consegue che della mostra faceva parte, oltre a un complesso di documenti, libri e fotografie, una quantità ingente di materiale eterogeneo costituito da cimeli coevi agli episodi illustrati, quali ad esempio la stampella di Enrico Toti, camicie nere, elmetti, armi e oggetti diversi indossati dagli squadristi fascisti in azioni di combattimento, l’elica dell’apparecchio su cui volò Francesco Baracca (non se ne ha più traccia), ma anche pannelli, bozzetti, strutture architettoniche appositamente create per la mostra. Chiusa solennemente il 28 ottobre 1934, si pensò di trasferire la mostra, come istituzione permanente, alla galleria d’arte moderna. In effetti già dai primi mesi del 1935 si provvide al trasporto di tutto il materiale con il progetto di costruire più tardi una sede definitiva che però non fu mai realizzata.

Una seconda edizione della mostra fu inaugurata il 23 settembre 1937, quando il partito nazionale fascista volle collegare le sorti dell’impero alle celebrazioni del bimillenario della nascita di Augusto. I caratteri della mostra risultarono in parte modificati dall’intenzione di farne più un archivio storico che un momento propagandistico del regime. La novità fu costituita essenzialmente dall’apertura di nuove sale che portarono la mostra ad illustrare non solo la politica interna e le realizzazioni del regime dal 1922 in poi, ma anche gli avvenimenti esteri degli anni trenta fino alla guerra di Spagna.

Con la nuova denominazione di Mostra permanente del fascismo, la mostra fu riaperta il 28 ottobre 1942, in un allestimento più modesto del precedente, per celebrare il ventennale. Furono apportate alcune novità: l’apertura di tre nuove sale dedicate alla seconda guerra mondiale, la creazione di un centro studi del fascismo i cui organi fondamentali erano una biblioteca e un archivio, l’installazione infine di una sala cinematografica. L’istituzione rimase operante fino al settembre del 1943, quando si pensò di trasferirla al nord: Pino Stampini, allora segretario della mostra, curò la scelta del materiale da inviare nella repubblica sociale italiana in ventiquattro casse contenenti documenti, cimeli e collezioni varie. Il materiale bibliografico, che era ormai divenuto assai consistente, constando di circa 17.000 unità, rimase a Roma nei tre locali della biblioteca insieme all’archivio che comprendeva anche documentazione versata dal partito nazionale fascista.

Il materiale trasferito al nord fu rinvenuto ancora incassato, presso il museo lapidario di Salò il 27 maggio del 1945. Le ventiquattro casse tornarono a Roma dove furono consegnate all’amministrazione degli Archivi di Stato nell’ottobre dello stesso anno. L’archivio rimasto nei sotterranei della galleria d’arte moderna, a Valle Giulia, fu invece posto sotto i sigilli dall’alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo e, collocato in cento casse, fu trasportato al ministero dell’interno nel marzo del 1945 [Archivio Centrale dello Stato, Alto commissariato per le sanzioni contro il fascismo, titolo XVII, b. 1.] ; fu quindi versato in parte all’Archivio centrale dello Stato.

Quanto ai libri, agli opuscoli e ai giornali, il commissario liquidatore della mostra, Lucio Lombardo Radice, provvide a versarli presso la biblioteca nazionale centrale di Roma, che aveva già ricevuto in deposito parte del materiale bibliografico dal settembre 1943 e presso la biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma. Attualmente il materiale bibliografico è conservato nelle due biblioteche come fondo Mostra e fondo Pennati: alla biblioteca nazionale sono confluiti i periodici, una parte dei volumi ed opuscoli, mentre nella seconda si trovano parecchie migliaia di volumi e quasi tutti i quotidiani. [Tratto dal Sistema Guida Generale degli Archivi di Stato Italiani]

Nel 1932 le sale della mostra erano le seguenti:

  • Sala A e B. Dall’adunata rivoluzionaria al 24 maggio – Artista: Esodo Pratelli
  • Sala C e D. La Grande Guerra: il re soldato e il fante vittorioso – Artista: Achille Funi
  • Sala E. Contro la bestia ritornante – Artista: Arnaldo Carpanetti
  • Sala F e G. Il 1919 – Artista: Marcello Nizzoli
  • Sala H e I. Il 1920 – Artisti: Amerigo Bartoli e Mino Maccari
  • Sala L e M. Fiume e Dalmazia
  • Sala N . Il 1921, l’anno fascista
  • Sala O. Il 1922 ad opera dell’architetto Giuseppe Terragni
  • Sala P, Q, R, S. Il contributo di Mario Sironi
  • Sala T. La sala Mussolini fatta da Leo Longanesi
  • Sala U. Sacrario dei martiri di Adalberto Libera e Antonio Valente

Cronologia fino al momento della chiusura della mostra

  • 15 novembre 1914: inizia le pubblicazioni il Popolo d’Italia;
  • 23 marzo 1919: fondazione dei Fasci italiani di combattimento;
  • 24 marzo 1919 fu pubblicato sul Popolo d’Italia il programma di San Sepolcro
  • 6 giugno 1919: pubblicato sul Popolo d’Italia il Manifesto dei Fasci Italiani di Combattimento
  • 3 agosto 1921: firma del Patto di pacificazione tra fascisti e socialisti
  • 7 novembre 1921: Congresso nazionale di Roma: i Fasci italiani di combattimento si costituiscono in Partito Nazionale Fascista;
  • 20 settembre 1922: discorso di Udine. Il Duce afferma la volontà fascista di assumere il governo dell’Italia e di fare di Roma «il cuore pulsante, lo spirito alacre dell’Italia imperiale»;
  • 24 settembre 1922: discorso di Cremona. Il Duce proclama: «Noi vogliamo che l’Italia diventi fascista»;
  • 24 ottobre 1922: congresso del P. N. F. a Napoli. Il Duce afferma: «Noi vogliamo diventare Stato»; e «la democrazia, forma politica del secolo diciannovesimo, è superata e che un altro regime politico governerà la società nazionale del secolo ventesimo»;
  • 28 ottobre 1922: Marcia su Roma;
  • 31 ottobre 1922: il Duce forma il Governo fascista;
  • 13 gennaio 1923: Istituzione del Gran Consiglio del Fascismo.
  • 1º febbraio 1923: fondazione della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
  • 3 gennaio 1925: discorso del Duce: le forze ostili al Regime sono definitivamente espulse dalla vita nazionale;
  • 26 novembre 1925: promulgata la legge sulla disciplina delle associazioni, che prevede lo scioglimento della massoneria
  • 3 aprile 1926: Legge sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, principio e fondamento dello Stato corporativo;
  • 18 agosto 1926: discorso di Pesaro. Il Duce dichiara: «Il fascismo non è soltanto un partito, è un regime, non è soltanto un regime ma una fede, non è soltanto una fede ma religione che sta conquistando le masse lavoratrici del popolo italiano… ».
  • 9 novembre 1926: la Camera fascista dichiara decaduti dal mandato parlamentare i deputati aventinisti.
  • 21 aprile 1927: emanazione della Carta del Lavoro
  • 26 maggio 1927: discorso detto “dell’Ascensione”. Il Duce enuncia la politica sociale del Regime e in particolar modo imposta la battaglia demografica per una razza prolifica e sana.
  • 9 dicembre 1928: Il Gran Consiglio — organo supremo del P. N. F. — diviene organo costituzionale dello Stato.
  • 11 febbraio 1929: Conciliazione tra l’Italia e la Santa Sede.
  • 10 novembre 1934: discorso del Duce all’Assemblea generale delle Corporazioni. Le Corporazioni fasciste «iniziano la loro vita effettiva e operante».
  • 18 dicembre 1934: il Duce inaugura la nuova provincia di Littoria e ricorda al popolo che « è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende»

Fonti Archivio di Stato , Wikipedia